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Mercoledì 11 Novembre 2009
Il pro rata si calcola in funzione dell'attività effettivamente svolta
Rilevante, a tal fine, il volume d'affari realizzato, che permette di individuare il vero core business dell'impresa
Con la sentenza n. 22243 del 21 ottobre 2009, la Corte di cassazione, nel respingere il ricorso di una società, ha concluso che non conta l'attività prevista dall'atto costitutivo, ma quella che costituisce "core business" dell'impresa. In particolare, la Suprema corte ha precisato che il calcolo della detraibilità sull'imposta va fatto tenendo conto del settore concretamente sviluppato. In tale ottica, quindi, l'atto costitutivo fa fede, ma entro determinati limiti.

Il fatto
Una società di capitali impugnava un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario contestava, tra l'altro, la spettanza di un credito Iva in misura ridotta rispetto a quella dichiarata, in quanto la società, avendo effettuato anche operazioni esenti, oltre le imponibili, poteva beneficiare della detrazione dell'imposta corrisposta a monte soltanto nei limiti del "pro rata", ai sensi degli articoli 19, comma 5, e 19-bis, del Dpr 633/1972 (il recupero di specie era basato sulla circostanza che la società non avrebbe tenuto conto delle operazioni esenti effettuate, quali compravendite di titoli tramite intermediario bancario, ex articolo 10, n. 4), Dpr 633/1972, influenti sul calcolo della percentuale di detraibilità dell'Iva pagata sugli acquisti). La società insisteva nell'opporre, invece, che le operazioni esenti effettuate non influenzavano la detraibilità dell'imposta sugli acquisti poiché estranee alla propria attività di impresa.

La Ctp adita ha respinto il ricorso rilevando che le operazioni esenti rientravano nell'ambito dell'attività propria della società e, dunque, a ragione dovevano concorrere con le operazioni imponibili alla determinazione del pro rata di detraibilità.

La pronuncia è stata confermata sul punto dalla Ctr, la quale osservava che "l'attività finanziaria effettuata dalla società rientra nell'attività sociale e si affianca alla attività di prestazioni di servizi ai fondi pensione, per cui il volume d'affari è formato da ambedue le attività che rientrano a pieno titolo nell'oggetto sociale con la conseguenza che le norme di cui agli articoli 19 e 19-bis del D.P.R. n. 633/1972 debbono essere applicate e la detraibilità dell'imposta sul valore aggiunto debba essere determinata in base alla percentuale spettante".
Il giudice di appello è giunto a tale conclusione avendo previamente riscontrato, da un lato, che le previsioni statutarie stabilivano la possibilità per la società di esercitare anche attività finanziaria ("la gestione dei mezzi finanziari e tutte le attività finanziarie, commerciali ed industriali, di natura mobiliare od immobiliare"), e, dall'altro, che detta attività finanziaria diretta era stata effettivamente esercitata dalla società, con prevalenza rispetto a quella istituzionale, nei primi anni di vita, nell'intento di valorizzare il patrimonio sociale.

Avverso la sentenza del riesame la società ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, così sinteticamente strutturati:
1.con il primo motivo (violazione degli articoli 19 e 19-bis, e vizi di motivazione della sentenza impugnata) si argomenta che l'attività finanziaria non costituisce attività propria e caratterizzante della ricorrente società, bensì un'attività accessoria la quale sarebbe stata svolta in casi isolati. Le modifiche testuali operate dal legislatore in riferimento all'articolo 19 del Dpr 633 (sostituzione del termine "attività" in luogo di quello di "operazioni", ad opera dell'articolo 2 del Dlgs 313/1997), dovrebbero indurre a ritenere che le suddette operazioni non dovrebbero concorrere al calcolo del "pro rata" in quanto priva di quelle caratteristiche che configurano un'attività propria del soggetto Iva. Rileva, inoltre, che l'applicazione del rapporto di "pro rata" finisce per equiparare la posizione del soggetto Iva a quella del consumatore finale, nella misura in cui si limita la detraibilità del tributo afferente alle operazioni imponibili
2.con il secondo motivo (violazione dell'articolo 19-bis contestuale a vizi di motivazione) si sostiene che le attività esercitabili, pur essendo indicate nell'oggetto sociale, non dovrebbero considerarsi tutte proprie e caratteristiche della società e, quindi, più in particolare, che le concrete operazioni finanziarie poste in essere non configurerebbero un'attività propria e caratteristica della società. Eccepisce ancora che i giudici di merito non hanno considerato appieno il peso rappresentato dalle modalità con le quali si gestiva l'attività finanziaria nel configurare un'attività come caratteristica piuttosto che come strumentale. La società, infatti, avvalendosi di un istituto di credito per la gestione finanziaria, non svolgeva direttamente tale attività
3.in terzo luogo, che il riferimento contenuto nella sentenza di secondo grado, secondo cui "le operazioni imponibili rappresentano l'attività principale ancora in fase di sviluppo e per questo attualmente affiancata da operazioni di investimento", farebbe propendere per la tesi in base alla quale il giudice dell'appello, in realtà, distinguesse le due attività in principale e strumentale, finendo per contraddirsi rispetto alla decisione assunta
4.infine, in considerazione dell'obiettiva condizione di incertezza del tenore della normativa in questione, che anche le sanzioni non sarebbero dovute

Il "pro rata" di detrazione
Prima di andare ad analizzare il decisum della sentenza 22234/2009, si reputa opportuno ricordare, in linea generale, che secondo quanto stabilito dall'articolo 19, comma 5, del Dpr 633/1972, i contribuenti che svolgono contemporaneamente attività imponibili (recte, che conferiscono il diritto alla detrazione) e attività esenti (previste dall'articolo 10) applicano all'imposta sulle operazioni passive un coefficiente (calcolato secondo le regole modalità indicate dal successivo articolo 19-bis) espressione, sostanzialmente, del rapporto tra le operazioni imponibili e assimilate e il complesso delle operazioni poste in essere dal contribuente, al fine di determinare il valore dell'imposta detraibile.

È oggetto di acceso dibattito l'individuazione delle componenti che devono essere considerate al fine del calcolo di tale rapporto, dibattito che, in particolare, verte sul significato che deve essere assegnato al termine "attività". L'importanza di individuare le attività svolte dal soggetto Iva è rilevante, infatti, nella misura in cui una pluralità di operazioni, pur essendo esenti ai fini Iva, non concorrerà al rapporto di "pro rata" di cui all'articolo 19-bis laddove esse non costituiscano un'"attività".
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la quale ha trovato conferma nella sentenza in commento, l'"attività" dell'impresa, prescindendo dall'oggetto sociale della società, fa riferimento all'attività abitualmente esercitata dal contribuente. Si precisa anche che un'"attività" può definirsi abituale quando il notevole impegno finanziario richiesto implica un'attività più complessa che richiede un'organizzazione specifica per la gestione e il raggiungimento dei risultati attesi. La verifica dell'attività effettiva d'impresa si individua osservando il volume d'affari realizzato dal contribuente, il quale, rappresentando il complesso delle operazioni di cessione di beni e prestazioni di servizi svolti dal contribuente in un determinato periodo d'imposta, è in grado di rappresentare l'insieme delle attività svolte dal contribuente. Laddove il peso delle operazioni esenti - in rapporto al volume di affari - risulti essere marginale, esse potranno considerarsi operazioni strumentali o accessorie all'attività propria dell'impresa; per converso, ove il valore delle operazioni esenti sia consistente, esse potranno considerarsi un'"attività" a sé stante e, dunque, il contribuente sarà tenuto ad applicare il "pro rata" di detraibilità al valore complessivo dell'imposta delle operazioni passive.

Riassumendo, secondo la strutturazione normativa dell'articolo 19 del Dpr 633/1972 e in conformità all'articolo 17 della sesta direttiva del Consiglio Cee del 15 maggio 1977, n. 77/388/Cee (cfr. Corte giustizia n. C-488/07 del 2008 e n. C-174/08 del 2009), il diritto a detrazione dell'imposta riguarda solamente i beni e servizi utilizzati dal soggetto passivo per lo svolgimento di operazioni imponibili (inerenza, Cassazione 13197/2009). Ove, per contro, l'operatore eserciti contemporaneamente attività imponibili e attività esenti, occorre stabilire la percentuale di detrazione per assicurare che la detrazione operata rispecchi realmente l'ammontare delle operazioni effettivamente assoggettate al tributo (cfr circolari 3/2007 e 46/2007).
A questo punto entra in gioco il meccanismo del "pro rata" che consente di individuare l'Iva detraibile data dal rapporto tra le operazioni che danno diritto a detrazione (effettuate nell'anno) e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti (effettuate nell'anno medesimo), nei sensi previsti dall'articolo 19-bis.

La decisione della Cassazione
Con la sentenza 22234/2009, il giudice di legittimità ritiene infondate tutte le doglianze della ricorrente, sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
a. in relazione al primo motivo, la Ctr aveva chiaramente rilevato che lo statuto prevedeva, tra le attività svolte dalla società, anche quella finanziaria e che tale attività era stata effettivamente svolta nei primi anni di vita della società, rappresentando il maggior impegno dell'ente. Sul punto la motivazione dei giudici di merito è assolutamente autosufficiente, rileva la Cassazione, mentre la ricorrente non ha fornito alcun elemento atto a favore la tesi contraria, ossia diretta a sostenere la mera strumentalità delle operazioni finanziarie. In merito alla presunta equiparazione della società al consumatore finale, laddove non gli è consentito dedurre l'Iva a monte per effetto del "pro rata", risulta vero il contrario, secondo il Collegio giudicante, e cioè che la società godrebbe di un privilegio laddove potesse detrarre per intero l'Iva afferente le operazioni passive, prescindendo dal rapporto del "pro rata". La Suprema corte respinge anche la doglianza secondo cui la società subirebbe una doppia imposizione per effetto del meccanismo del "pro rata" (imposta caricata a monte e non scaricata a vale), in quanto la quota di imposta non ammessa in detrazione per effetto dell'imputabilità alle operazioni esenti è completamente deducibile dal reddito imponibile, "rappresentando pur sempre un costo collegato ad operazioni che producono un ricavo" (in tal senso, Cassazione 11514/2001 e risoluzione 869/1980)
b. in relazione al secondo motivo, sebbene le attività indicate nello statuto sociale non possono considerarsi tutte proprie e caratterizzanti, sul piano fattuale è stato provato che tanto l'attività finanziaria (che rileva ai fini del calcolo del "pro rata") quanto quella di previdenza complementare (che non incide sulla percentuale di detraibilità dell'imposta) risultano caratterizzare l'attività della società nel periodo preso in considerazione e anche in quelli successivi
c. in relazione al terzo motivo (concernente vizi motivazionali), la Cassazione chiarisce che il contemporaneo svolgimento di attività imponibili e attività non imponibili (rectius, esenti) non dà luogo a un rapporto di mera strumentalità, ma un costante sviluppo parallelo, e che l'attività propria dell'impresa non è soltanto quella previamente definita (da atto costitutivo), ma anche quella effettivamente svolta. Infatti, l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità è consolidato nel ritenere che "in tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale d'imposta (cosiddetto "pro-rata"), occorre avere riguardo non già all'attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa: ai fini dell'imposta, rileva infatti il volume d'affari del contribuente, costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e quindi l'attività in concreto esercitata" (Cassazione 6574/2008, 912/2006, 9762/2003, 236/1999). Quindi, la tesi secondo cui la gestione finanziaria della società non poteva considerarsi un'attività bensì un insieme di sporadiche operazioni è smentita dal fatto che, in relazione al periodo d'imposta accertato e a quelli successivi, l'attività sia stata svolta con continuità, rappresentando una componente rilevante del volume d'affari
d. da ultimo, in relazione al quarto motivo di doglianza, secondo la Corte non sussistono le condizioni di incertezza rilevate dalla ricorrente, circostanziando incisivamente su questo punto centrale della vicenda che le imprese conoscono bene quale è l'attività loro propria, e quella svolta nella specie dalla ricorrente era - secondo i giudici di legittimità - attività preponderante di gestione finanziaria, come del resto accertato nei precedenti gradi del giudizio. Invece, la circostanza che l'attività finanziaria venisse svolta tramite un istituto di credito è del tutto irrilevante, poiché l'articolo 19-bis, comma 2, del Dpr 633/1972 distingue soltanto tra attività proprie e attività accessorie alle operazioni imponibile, le quali difficilmente possono essere confuse con un'attività propria. Nel caso trattato, quindi, la preponderante gestione finanziaria accertata dai giudici di merito (governo di capitali diretti a favorire la promozione della previdenza integrativa) elideva qualsiasi incertezza sul carattere "proprio" dell'attività esercitata dalla società, per cui non si ravvisano le obiettive condizioni di incertezza invocate dalla parte sulla portata e sull'ambito di applicazione delle norme de quibus, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, sussistono "quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l'equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione" (Cassazione 6574/2008, 912/2006, 22690/2008, 18222/2007, 10491/2003).

Conclusioni
In conclusione, dall'articolata motivazione della sentenza 22243/2009 si possono ricavare i seguenti principi di diritto:
1.ai fini della corretta individuazione delle componenti che concorrono al calcolo della percentuale di detraibilità dell'Iva, determinata secondo il meccanismo del "pro-rata", si considera attività propria e caratteristica dell'impresa quella che, a prescindere da quanto indicato nell'oggetto sociale dell'atto costitutivo, viene svolta effettivamente dall'impresa
2.l'attività effettivamente svolta dal contribuente si deduce dal volume d'affari realizzato, il quale - costituendo l'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi - permette di osservare l'attività concretamente esercitata dal contribuente.

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